…è bello ciò che funziona! Ovvero: come gestire gli aspetti estetici nella grafica.
Sei lì davanti al computer, hai appena finito la realizzazione, che ne so, di un depliant per la pizzeria d’asporto sotto casa (per restare umili). Lo guardi e lo riguardi e ti accorgi che hai bisogno di un parere esterno. Così, ti giri verso tuo cugino Paolo e poni la fatidica domanda: “Ti piace?”
Ma Paolo è un termotecnico di Chieti e di grafica non ne capisce nulla quindi, qualsiasi cosa ti risponderà sarà sbagliata.
Noi vogliamo bene a Paolo almeno quanto gliene vuoi tu, ma purtroppo bisogna considerare che lui non ha gli strumenti adatti a rispondere a questa domanda e ci proverà per quanto può. Non vuole deluderti o demoralizzarti, ma per lui quello che hai fatto è totalmente incomprensibile. Come se Paolo venisse da te a farti vedere il suo progetto per il riscaldamento di un garage e ti chiedesse “ti piace?” Tu gli risponderesti: “Che ne so Paolo mica sono un termotecnico” e giù risate in famiglia, musica emozionale, titoli di coda, fine.
Il problema della grafica, al contrario della termotecnica, è che deve essere intellegibile ai più e quello che i più notano prima di tutto è l’aspetto estetico dell’esecuzione che magari non corrisponde al loro e non gioca a favore il fatto che molto spesso i gusti estetici delle persone siano parecchio discutibili. Quello che loro non sanno è che per arrivare al tuo risultato c’è stato un lavoro di progettazione che spesso proviene da un’ attività ancora più profonda di ricerca e creazione dell’immagine coordinata (ne abbiamo parlato qui mettere in link l’articolo sulla brand identity), seguendo la quale tu hai realizzato poi il tuo dépliant.
La progettazione grafica infatti ha sempre bisogno di poggiarsi su basi solide e quasi mai si improvvisa su due piedi.
L’altro problema è che la domanda “Ti piace?” è sbagliata a priori. Nella grafica una cosa non può essere solo bella, prima di tutto deve essere funzionale, comprensibile e leggibile. Bisogna trasmettere un messaggio complesso e articolato, fatto di significati reconditi, utilizzando strumenti dai grossi limiti formali e pratici.
Quindi la domanda giusta da porre a Paolo è: “Si capisce?”. Perché è quello il risultato che devi ottenere: che il tuo lavoro venga capito e compreso anche da un termotecnico di Chieti (o di Campobasso, non fa differenza).
La progettazione grafica o per usare un termine più ampio: “design grafico” ha come scopo non solo un risultato che sia esteticamente gradevole, ma sopratutto funzionale, anzi la funzionalità del “design” concorre alla piacevolezza estetica del risultato.
Un progetto razionale (ovvero che segue delle regole precise di proporzioni e dimensioni) evocativo, diretto, renderà sicuramente il tuo lavoro anche bello esteticamente proprio perché si sposa con regole intrinseche della composizione. Se volessi imparare di più a riguardo ti consiglio due libri fondamentali sulla progettazione e sulla percezione. Il primo è “Design e comunicazione visiva” (Laterza) di Bruno Munari, genio e faro del design e della comunicazione, dove spiega con semplicità stupefacente ciò che rende la grafica comunicativa, cosa si nasconde dietro a un progetto grafico e il ruolo che ha il grafico nella comunicazione visiva (appunto). Il secondo invece è un saggio di psicologia dell’arte, un po’ più ostico da leggere rispetto al primo, ma illuminante per quanto riguarda la percezione dell’essere umano rispetto a ciò che vede. Si chiama “Arte e percezione visiva” (Feltrinelli) di Rudolf Arnheim, grandissimo saggista, storico dell’arte e psicologo tedesco il quale applica gli assunti della psicologia alle opere d’arte non tanto da parte dell’autore, ma del fruitore, riuscendo così a donare un occhio nuovo e ponderato a chi vuole dare un significato a ciò che vedi e giudichi “bello”.
Perché la bellezza è negli occhi di chi guarda, anche dei termotecnici di Chieti, basta solo saperla riconoscere.